Compatibilità tra il ruolo di socio di maggioranza e quello di dipendente

 


Il Giudice del lavoro ha affermato che deve ritenersi legittima l’assunzione del socio di maggioranza come dipendente della società di capitali, con mansioni esecutive e sotto la direzione di altri lavoratori appartenenti a figure apicali, purché sia fornita la prova dell’effettivo svolgimento di mansioni prive di alcuna valenza gestoria e dell’effettivo assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di altri soggetti (Tribunale di Brescia – Sentenza 25 gennaio 2022).

Nel caso esaminato dal Tribunale di Brescia, l’Inps ha disconosciuto il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la società di capitali ed il socio di maggioranza, detentore del 90 per cento delle quote societarie, nonché figlio del “titolare”.
Il socio/dipendente ha impugnato il provvedimento dell’Istituto affermando di aver svolto per tutto il periodo di contestazione attività di natura meramente esecutiva, per la quale è stato sottoposto al potere direttivo di altri lavoratori appartenenti a figure apicali (capocantiere, responsabile tecnico e responsabile amministrativo).
L’Inps ha eccepito che la qualifica di socio di maggioranza, in virtù dei conseguenti poteri gestori, è incompatibile con l’esistenza di un rapporto di natura subordinata con la società.


Il Tribunale di Brescia, contrariamente alle deduzioni dell’Inps circa l’astratta incompatibilità tra la qualifica di socio di maggioranza e quella di lavoratore subordinato per difetto del requisito di eterodirezione (tipico della subordinazione), ha osservato che secondo il prevalente orientamento di legittimità “in tema di rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, come non sussiste alcuna incompatibilità al principio tra la qualità di componente (non unico) dell’organo di gestione e quella di lavoratore subordinato alle dipendenze della società, allo stesso modo non vi sono ostacoli alla configurabilità di un siffatto rapporto fra la società e il socio titolare della maggioranza del capitale sociale, neppure quando la percentuale del capitale detenuto corrisponda a quella minima prevista per la validità delle deliberazioni dell’assemblea, attesa la sostanziale estraneità dell’organo assembleare all’esercizio del potere gestorio”.
Inoltre, secondo il giudice, non può ritenersi ragionevole considerare di per sé irrilevante, al fine di escludere il rapporto di subordinazione, la partecipazione indiretta e mediata alle scelte societarie attraverso il potere e ritenere invece ostativa la partecipazione diretta dal lavoratore all’organo investito di un siffatto potere e ritenere invece ostativa la partecipazione indiretta e mediata alle scelte societarie attraverso il potere di nominare i soggetti che hanno il compito di effettuarle, ferma restando, comunque, la non configurabilità di un rapporto di lavoro con la società quando il socio (a prescindere dalla percentuale di capitale posseduto e dalla formale investitura a componente dell’organo amministrativo) abbia di fatto assunto nell’ambito della società, l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione.
Resta fermo, in ogni caso, l’onere del lavoratore (o della società), di dimostrare non solo il concreto ed esclusivo svolgimento delle mansioni di assunzione, prettamente esecutive e prive di alcuna valenza gestoria, ma anche l’effettivo assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di altri soggetti, nonostante la qualifica di socio di maggioranza.
Prova che può essere validamente assolta tramite testimoni, che confermino il carattere meramente esecutivo delle mansioni concretamente svolte dal socio/dipendente, nonché l’effettiva sussistenza del requisito dell’eterodirezione.